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Ci sono scrittori che hanno la rara capacità di prenderti per mano fin dalle prime righe in cui ti presenti al cospetto della loro scrittura e di farti accomodare nella storia che hanno imbastito facendoti sentire fin da subito a tuo agio. La riconosci, quella storia, sembra per certi aspetti appartenerti, ci sono tracce che sembrano della tua vita, situazioni di un vissuto in cui ti ritrovi.
La scrittura di Paolo Perlini ha l’andamento affabulatorio delle belle storie che avvinghiano e non ti mollano, la profondità di chi sa scandagliare l’animo, la consapevolezza che la vita può essere un giano bifronte di bene e male inscindibili, la leggerezza di chi sa anche non prendersi sul serio e desidera buttarla in gioco con il lettore.
In questo libro, “Sweet Jane”, come in altri dello stesso autore, emerge questo talento spontaneo di narratore, che sa usare gli artifici della scrittura ma li nasconde nel fluire naturale delle parole, che dissemina con apparente disinvoltura questioni, dubbi, interrogativi che sono interni alla vicenda stessa, ma sono anche incatenati al vivere quotidiano.
E allora ti affidi alla storia, la vivi, la assapori, lasci che ti faccia trattenere il fiato, emozionare, indignare, sorridere, turbare. E resti in attesa di una nuova pubblicazione pregustandone il piacere.

ISBN: 978-88-85790-87-2

Autore: Paolo Perlini

Editore: CATARTICA EDIZIONI

Data di uscita: 20 settembre 2022

Genere: Narrativa contemporanea

Collana In Quiete

Prezzo: 16.00 €

Nº pagine: 216

Dimensioni: 14×21 cm

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Auguri

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Ludovica saluta il nuovo anno e tutta la vita che verrà.

 

In esplorazione di una lanca del Po

 

Cisse viene dal Ghana, è arrivato in classe la mattina del 23 gennaio, accompagnato dalla madre. Ho dovuto mandarlo nell’altra sezione, perché quella dove mi trovavo in quel momento non aveva nemmeno un posto per farlo sedere. Gli altri bambini hanno protestato, loro sono contenti quando arriva qualche nuovo compagno, sanno con certezza che impareranno qualcosa di nuovo.
Come con Lixiang, che è entrato nel gruppo a settembre e che ha un paio di anni più di loro. Li ha già addestrati a produrre in serie origami particolarmente complessi e al momento sta insegnando l’uso delle bacchette per mangiare, per questo motivo biro e matite hanno perso la loro funzione specifica.
Poi c’è Leo Hu, il calcolatore, che ha spiazzato tutti con la sua abilità matematica ma che rifiuta drasticamente l’uso dell’italiano, per cui ci rivolgiamo a lui come se fosse sordomuto.
Pietro invece, ci tiene sermoni sulla Russia: prima chiede notizie al padre e poi rende edotta la classe.
Basma con la sua esile e bellissima voce ci intrattiene mentre lavoriamo con le mani, si disegna o si colora; per ridurli al silenzio niente funziona meglio delle sue incomprensibili canzoni marocchine.
Robert Benjamin, bellissimo ragazzo senegalese, è un vulcano, mille idee, molte iniziative, inarrestabile, sempre il primo a entusiasmarsi assieme a Noemi, bambina italiana, dislessica che più di così non si può, ma che se ne fa un baffo del suo problema perché ha tutti i suoi compagni pronti a sostenerla e aiutarla.
In un gruppo così è un piacere arrivare e restare, e molto a malincuore ho mandato Cisse nell’altra sezione, che ha un’aula più spaziosa, ma non si poteva fare altrimenti. Lui ha fatto ogni cosa per farsi accettare dal nuovo gruppo: sorrisi a volontà, si è sbrigato a imparare l’indispensabile di italiano, ha cominciato a fare il pagliaccio per divertire, a fare complimenti alle bambine, con quel suo modo diretto e ingenuo, pulito. Molte sono già innamorate di lui. Ma, nonostante ciò, aleggia la diffidenza e ieri qualcuno nel testo descrittivo che lo ritraeva ha scritto: “è un negro”.

 

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Non si esiste che quando si è fotografati.
(Jorge Luis Borges)

In una foto di spalle c’è qualcosa di più. C’è tutto ciò che ti sta davanti e pure l’occhio che ti sta dietro, prolungamento dello sguardo, porzione cieca per te che sei soggetto, mistero svelato solo poi. Davanti la luce, il mondo che si apre, orizzonte mobile, spaziatura dei sensi. Dietro l’incognita, la distanza ignara del tanto o del poco che credi di conoscere.

Music anyways

Con la musica ho da sempre un rapporto ambivalente. Mi mette in soggezione, a volte perfino a disagio, ma non posso farne a meno.
Se sei nata stonata, o almeno se così sei sempre stata etichettata, devi evitare accuratamente di cimentarti in esibizioni canore, ma se pure l’ascolto musicale risulta carente, incapace di cogliere passaggi, sfumature, colori, allora le cose si mettono davvero male. Per non parlare dell’uso di strumenti, al massimo posso accarezzarli estatica, sognando un impossibile concerto. Tuttavia, cerco di riempire di musica i momenti della giornata in cui sono sola. Mi piace che faccia da sottofondo a tutte quelle mansioni che mi risultano noiose e ripetitive, voglio che si intoni al mio umore o, al contrario, lo faccia virare in modo deciso. Continua a leggere »

Fotografie

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Non so per quale motivo torno spesso a questa foto. Non fa parte dei miei album di famiglia e non ha neppure le caratteristiche di una foto artistica, non è particolarmente azzeccata con quel controluce che la rabbuia. Con che cosa dunque va a collimare? Quali rimandi, nostalgie, tempo perduto, occasioni mancate va a solleticare?
Al momento dello scatto, i due ragazzi erano placidamente seduti sul prato di trifoglio che dava sul fiume, composti, silenziosi, forse solo a tratti qualche bisbiglio. Guardavano l’acqua che scorreva, semplicemente. Non avevano bisogno di parlarsi. Li racchiudeva una bolla cristallina che li univa e li separava da tutto il resto. Il resto che in quel momento consisteva nel frastuono assordante di musica sparata a tutto volume, grida, motorette che passavano rombando alle loro spalle, chiacchiericcio domenicale.
E loro lì, parte del tutto eppure estranei, capaci di sottrarsi pur restando.
Poi c’è stato un momento, ma è stato un attimo, in cui le nuvole hanno aperto un varco in cui sono scivolati i raggi del sole, proprio attorno a loro, come nelle illuminazioni divine dei quadri del settecento. In quell’istante i due ragazzi hanno assunto la forza attrattiva del magico, del sogno, di un pensiero inespresso, un bacio non dato, un gesto accennato e non compiuto, di una storia ancora da raccontare.
Sì, lo so, mi rendo conto che tutto questo suona sentimentale, ma è così che sono in questa giornata di mezza estate.

Per fare un libro…

I libri é bello leggerli, ma è pure interessante costruirli.

Prima osserviamo come sono fatti.

Le pagine sono attaccate al dorso della copertina, i libri 
sono lisci, colorati
. Sul dorso ci sono dei fili intrecciati e della colla, c’è la copertina di cartone. I libri hanno un profumo.

 

Senza titolo

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Musica e letteratura

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volendo si può scrivere con succo
di cipolla o di limone o di altro frutto agro
e nessun segno sarà mai visibile
finché non si mostra al fuoco
e torna parola
per scomparire lontano dal fuoco

(Iolanda Insana, La stortura)

La lettura degli scritti di Paolo Perlini lascia sempre la medesima rassicurante sensazione di compiutezza, di ordine, fin quasi di rigore.
Questo mi pare sia dovuto a una scrittura precisa, sincera, che sa raccontare avvalendosi di molte parti dialogate, capaci di rendere realistiche e vive le situazioni raccontate, anche quando sono frutto di fantasia.
“ Nei miei giochi di fantasia”, appunto, ribadisce fin dal titolo questo ricorso all’immaginazione, alla necessità del protagonista di utilizzare l’elemento immaginativo per attraversare una quotidianità non sempre favorevole. Eppure si percepisce un fondo di verità, non tanto nelle vicende narrate, quanto nei sentimenti e nelle percezioni che fanno da motore all’agire dei personaggi. Veritiere sono le pulsioni che spingono a cercare amicizia e condivisione di passioni, così come gli innamoramenti adolescenziali, le tentazioni e i timori, gli abbandoni. Continua a leggere »

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C’era il mare, ed era proprio di fronte alla nostra finestra e non era necessario alzarsi per vederne l’orizzonte. Restando coricati si poteva osservare la linea precisa che marcava i due colori, dell’acqua e del cielo, che a volte si mischiavano fino a essere un unico scenario per le nostre giornate. E poi c’era il sole che sorgeva proprio lì, al centro del riquadro delimitato dallo stipite. Ogni volta si circondava di colori e sfumature cangianti, con guizzi di luce improvvisi che scemavano subito dopo. Io lo sentivo arrivare e cercavo il risveglio in quegli attimi per farmi pungere gli occhi da tutta quella lucentezza. E in quei giorni c’era anche la luna, che sorgeva dall’acqua magnificente, rossastra, io la seguivo passo a passo nella sua salita, nitida, decisa, senza sfilacciature di luce.
In questa comunione con il cielo, nell’alternarsi delle giornate, ho sognato, anzi sono stata visitata da numerosi sogni. Questa espressione meglio si addice al fatto che nei brevi momenti in cui mi abbandonavo al sonno avevo la sensazione di essere attraversata da vene di illuminazione, da scintille di consapevolezza che in nessun altro modo avrei potuto raggiungere, come se mi venisse instillato un sapere necessario . Continua a leggere »

Fermati ogni tanto. Fermati e lasciati prendere dal sentimento di meraviglia davanti al mondo.
Tiziano Terzani

 

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La prima sosta in Calabria è vicino a un frantoio secolare, posto su una terrazza naturale tra gli oliveti di Praia a Mare. La vista da lassù spazia fino a Capo Palinuro. Un momento per rifocillarsi e poi via, a cercare il mare, proprio nel tratto in cui il fiume Noce termina il suo percorso. La spiaggia, prima di essere ripulita dai bagnini degli stabilimenti balneari, è disseminata di legni, rami, cortecce, radici che il fiume trascina con sé e modella, leviga, scolpisce, al punto che in certi casi diventa difficile riconoscerne l’origine. Oggetti naturali così suggestivi che diventa impossibile non vederci forme mostruose, animali fantastici, esseri mitologici che possono diventare stimoli per creare storie con i bambini. Va da sé che ne faccio incetta, riempiendo lo zaino e le tasche. Poi sulla via del ritorno mi imbatto in un giardiniere del comune addetto alla potatura del viale di oleandri e palme che costeggia il mare.
“Mi scusi – faccio io vincendo la mia ritrosia nell’attaccare discorso con sconosciuti- saprebbe dirmi a quale pianta appartiene questo?” e gli allungo un ramo contorto dalla corteccia squamosa a scaglie esagonali su cui avevo elucubrato per un certo tempo.
L’uomo si gira lentamente, si spinge la visiera verso l’alto per inquadrarmi meglio, getta un’occhiata di sufficienza al mio reperto e, riprendendo il lavoro, sentenzia: “ ‘na radice di canna. Se l’è portata il fiume, come tutto il resto. Mica solo piante eh, pure munnizza!”
Poi interrompe il suo lavoro, si volta verso di me, prende il legno, lo rigira tra le mani, inclina la testa da un lato poi dall’altro trovando diversi punti di osservazione.
“Ci si può lavorare sopra… “ afferma con un’ improvvisa luce nello sguardo.
“E’ quello che pensavo anch’io!” lo sollecito, contenta di avere trovato una corrispondenza di intenti, sperando in uno scambio di idee. Ma in breve mi ritrovo a osservare volti, animali, barche che scivolano fuori da una cassetta che si porta appresso con l’Apecar, legni trasformati dalla sua mano esperta.
Poi mostrandomi un veliero aggiunge: “Questo l’ho intagliato per mio figlio. Voglio che tenga un buon ricordo di me, che sappia che lo penso. Non come il padre mio che se ne andò tanti anni fa e non si fece più vedere. ”
Senza altre parole, richiude tutto nella cassetta e ritorna a cesellare germogli di palma nana.