Ogni giorno indossi le mie parole
ne fai specchio
dei tuoi accenti
scendi gradini che portano al centro
al cuore pulsante
della mia memoria
ritrovi nelle pause paure antiche
che parlano ancora
con echi di conchiglia
scivoli lento nei miei misteri
legati stretti
in canapa grezza
tessuto buono per un mantello
di falsi pudori
di vigliaccheria
ogni giorno una, una poesia
a sciogliere grumi
a dissodare zolle
a rendermi cristallo
agli occhi tuoi.
mi fa pensare l’eco di conchiglia, a come potrebbe essere quel suono, a come potrebbe echeggiare quel wrooooom…
Pensando a questo mi sono anche perso sul plurale: se eco è femminile, perché abbiamo fatto diventare maschile il plurale?
Infine, una poesia al giorno, che vada a sciogliere i grumi, sarebbe una salutare medicina.
O un gran tormento. Per il lettore. 🙂
Quanto al plurale maschile, è un gran vizio degli uomini imporre il loro genere. Le solite manie di grandezza. 🙂
Il wrooomm della conchiglia è un suono flebile, infatti devi porgere l’orecchio per ascoltarlo, ma poi, una volta udito, sorprende per come avvolge e diventa assoluto.
pensa ai francesi, così gentili da concedere il genere femminile al mare.
Il suono delle conchiglie per me è il suono dello spazio. Se dalla mia astronave potessi aprire l’oblò, sono sicuro che sentirei quel suono.
Già, una concessione immensa, come la parola mare fa intendere. Poi però nel resto della lingua anche i francesi peccano di maschilismo.
Ogni spazio vuoto riecheggia del suono di conchiglia. Oppure ogni spazio infinito. Ogni spazio in profondità.
Sott’acqua quel wroooomm si allunga e si distorce come un chewing gum.
uhm…l’acqua copre ogni suono, anche l’eco delle conchiglie. Forse si sentirà meno wroomato, qualcosa tipo: uooommm